Storia della tradizione enogastronomica della basilicata
Nella gastronomia Lucana dei nostri tempi sopravvivono gli echi della povertà dei secoli passati, una povertà qualitativa più che quantitativa. Essa affonda le proprie radici nelle popolazioni lucane che nei vari millenni hanno popolato la regione nelle località, ofantine, nel melfese, il potenztino e Matera (V e IV millennio A.C.).
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A testimonianza di un proliferare di fattorie di età remote sono i santuari di tipo campestre, sparsi sul territorio della regione e databili del VI sec. A.C. Successivamente l’espansione romana – che fa decadere alcuni centri, si allea con altri (come Banzi) e fonda colonie, come Grumentum, Potentia,Venusia – non esclude l’intensificarsi di una rete di fattorie, tipiche anzi dell’organizzazione agricola romana.
Una interessante villa rustica di epoca romana completa in ogni parte è quella emersa dagli scavi di Tolve, in un bosco vicino al paese, era dedita alla cultura dei cereali, legumi, mandorleti, ulivi (come ci informano i reperti di semi, falcetti, vanghe), non trascurando la caccia per il ritrovamento di punte di freccia.
Quanto agli allevamenti, nella fasi più antiche prevalgono ovini e caprini; il ben noto interesse per i maiali si diffonde col passare dei secoli. Nell’alimentazione dei lucani sono rintracciabili alcuni “prestiti” dalle regioni vicine come la Campania appeninica, la Calabria, la Puglia, Molte le affinità con la gastronomia calabrese, dalle forme di pasta all’uso del peperoncino, degli insaccati e dei formaggi. All’origine questi contatti culturali vi sono ragioni storiche individuabili al di là della semplice vicinanza geografica.
E’ noto che nell’antica Lucania (area geografica che si va definendosi intorno al VI- V secolo A.C., e comprendeva dal mare Tirreno fino al golfo di Taranto)si estendeva, ad occidente, ben oltre gli attuali confini.
Intanto nella ripartizione dell’Italia operata da Augusto (I sec A.C. ) la Lucania fece parte della Regio III insieme col Bruzio l’odierna Calabria. Nel Tardo impero, età di Diocleziano, e Reggio Calabria il capoluogo di questa vasta regione.
In quell’epoca la Lucania ha posseduto un luogo litorale, da Salerno passando per Paestum, la valle del Sele, il vallo di Diano e giù per le coste calabresi (perdendo Venosa e Metaponto che furono annesse nella Regio II cioè la Puglia).
Tale configurazione amministrativa non poteva che intensificare scambi e contatti anche alimentari tra Bruzio e Lucania. Tuttavia rimasero talune specificità . Il Bruzio, esportava grandi quantità di vino; la Lucania sopratutto lardo.
Quando poi il governo centrale di Roma stabilì che il luogo del bestiame si pagasse in denaro i poveri lucani a corto di denaro- per realizzare iniziarono a vendere il bestiame- ripiegarono sullo scarso mercato interno, mentre per far fronte al dovere annonario e realizzare denari isi videro costretti a vendere , i propri figli, come accadde nella fiera di Padula, una delle più importanti del Meridione in età tardo antica imperiale.
Le fiere in Lucania , raccoglievano e distribuivano i prodotti i prodotti della Campania, della Puglia e della Calabria. Già Cassiodoro, nelle sue Variae, passa in rassegna quelli che oggi chiameremmo gli stands, di quelle fiere: bellissimi padiglioni o capanne di fronde intrecciate, distribuiti su una vasta area, mentre nota l’allegro viavai di compratori e cursiosi in mezzo alle merci e agli animali.
Terra a vocazione agricola e pastorale, queste due attività hanno costituito l’ossatura sociale non solo nella campagna, ma anche dei centri urbani e della stessa città di Potenza. fino ai tempi moderni.
Le masserie fortificate Lucane
Dentro le mura delle grandi masserie ancora visibili, si addensano oltre 1000 anni di storia feudale, laica ed ecclesiastica, del nostro Mezzogiorno. località
Ne sono testimonianza i castelli-masseria immersi nel verde degli uliveti, o collocati all’incrocio di vie strategiche di comunicazione, ornati di merli, beccatelli, minuti di torri, mure di cinta, casematte e feritoie, ponti levatoi e cappelle di famiglia.
Come Villa Gattini(località la Martella Matera); Monacelle (strada per Grassano) Torre Spagnola (Matera – Gioia del colle) e San Basilio (Marconia-Pisticci) dei marchesi Berligieri.
Le attività lavorative dei lucani tra il ‘700 e i tempi odierni
Nella metà del Settecento la maggior parte dei potentini risulta impiegata nel lavoro della terra(circa il 60 %) e nell’allevamento del bestiame (oltre il 60%) e nell’allevamento del bestiame (oltre il 16%); seguono altre attività sempre legate al mondo agricolo.
L’attività artigianale era costituita da realizzazione di botti, tini, attrezzi per l’agricoltura e per ferrare il bestiamo dedito al lavoro dei terreni agricoli
Mentre i pignatari e i fornaciali fabbricavano il vasellame da cucina e da tavola., i potentini svolgevano altre attivitàdi vaticari, cioè di mulattieri che commerciavano verso Salerno e Napoli a dorso di muli.
Quali le merce trasportate? Cereali, lane, formaggi, caciovoalli, salumi in cambio di frutta e ortaggi, che solo in tempi recentissimi hanno fatto la loro comparsa come ampie colture in alcune zone della Basilicata (val d’Agri e metapontino).
Prodotti tipici sul territorio Lucano
In una “Carta dei prodotti alimentari delle Provincie Continentali del Ragno delle due Sicilie” del 1965 è riportata una mappa delle produzioni lucane alcune delle quali oggi scomparse,
Vigneti nella zona del Vulture, grano e cinghiali nel materano, nelle zone interne maiali, formaggi, salumi, il pollo d’India è allevato a Muro Lucano; Ferrandina le olive, castagne a Montemurro del Vulture e a Moliterno, legumi a Pescagano.
I cereali e i legumi prodotti in basilicata
Sempre nello stesso periodo (seconda metà dell’Ottocento) il frumento si produce in varietà che vanno dal grano duro al tenero, al grano marruolo o timilia.
Il timilia è oggi ancora coltivato nell’entroterra siciliano, in particolare nelle vallate del fiume Salso Imera meridionale. Con questo grano si prepara il pane nero di Castelvetrano in Sicilia.
Ha un ciclo breve con semina a marzo in collina, e anche prima nelle zone marittime; il grano era molto diffuso in Sicilia prima della seconda guerra mondiale.
Veniva seminato dopo autunni piovosi, quando altri grani non potevano essere seminati; è diffuso nel bacino mediterraneo ed è molto resistente alla siccità. Le sue farine, con poca acqua, permettono la produzione di pani a pasta dura di colore scuro dotati di grande digeribilità, capaci di durare molti giorni.
Le leguminose sono per lo più destinate al consumo locale. Pregiate le fave e i fagioli di Pignola, Marsiconuovo e Saponara di Grumento, mentre le zone di Sant’Arcangelo e Senise si distinguono per la cura di orti e giardini (oggi tele meritl a S. Chirico Raparo, S. Martino d’Agri, SPinoso) Tra le colture arboree va segnalato il gelso; mandorli a Pomarico e Miglionico, agrumi a Maratea , Montalbano, Tursi.
Attualmente, in molti comuni di solida tradizione agricola come Pisticci e Policoro la superficie coltivata risulta ridotta, o per la crisi del settore, o per la contrazione della popolazione dedita all’agricoltura (in alcuni casi sono le infrastrutture, come la diga di Senise, ad aver contratto le colture ortofrutticole tipiche, come il peperone locale), mentre nel potentino molte colture hanno registrato perfino un’incremento, grazie anche ad una specializzazione minata in colture tradizionali come vigneti e uliveti. Orti e frutteti incece restano più consistenti nella fascia ionica.