Delle molestie sul lavoro, anche e soprattutto quelle sessuali, se ne parla sempre poco o comunque non abbastanza. La prima cosa da sottolineare è che il datore di lavoro può rispondere del reato se non l’ha impedito. Nella maggioranza dei casi le vittime sono donne e subiscono, oltre alla violenza, il giudizio sociale che ancora punta il dito sulle scollature e le gonne sopra il ginocchio. Ma se accade, a chi bisogna rivolgersi?
La normativa di riferimento
Le condotte maltrattanti e moleste ai danni dei lavoratori sono punite oltre che dall’articolo 612 bis (atti persecutori-stalking), anche dagli articoli 609-bis (violenza sessuale) e 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi) del nostro codice penale. L’articolo che più interessa all’esame in corso è il 609-bis che trova applicazione in caso di gli abusi commessi nei contesti lavorativi. Al contrario, l’art. 572 del codice penale è stato pensato dal legislatore per lo più per il caso dei maltrattamenti “in famiglia” benché, spesso, venga esteso ai maltrattamenti consumati nei luoghi di lavoro nel caso in cui il rapporto tra aggressore e vittima è di tipo parafamiliare oltre, ovviamente, alla condotta oggettiva.
“Ai fini della sussumibilità del mobbing nella fattispecie incriminatrice dei maltrattamenti ex art. 572 c.p., l’esistenza di una situazione para-familiare e di uno stato di soggezione e subalternità del lavoratore va verificata avendo riguardo delle dinamiche relazionali in seno all’azienda tra datore di lavoro e lavoratore”. (Cassazione Penale, Sez. VI, 22 dicembre 2014 (ud. 22 ottobre 2014), n. 53416 Presidente Ippolito, Relatore Bassi, P.G. Policastro).
Il caso
Quando il datore di lavoro non impedisce il consumarsi della violenza, esso stesso può considerarsi responsabile della violenza stessa. Il caso è quello di una giovane donna sottoposta, per oltre un anno, a umiliazioni, maltrattamenti e molestie sessuali da parte del proprio superiore gerarchico sul posto di lavoro. Un giorno, stanca dei continui abusi, decide di denunciarlo. La lavoratrice denuncia i ripetuti atti di violenza psicologica fatta da apprezzamenti volgari a sfondo sessuale, anche in presenza dei colleghi; denuncia le molestie sessuali, i palpeggiamenti, i tentativi di estorcerle baci. Si costituisce parte civile nel procedimento penale contro l’autore del reato, chiede ottiene la citazione della società datrice di lavoro riconosciuta responsabile dell’accaduto insieme al soggetto tratto a giudizio. Il tribunale di Milano giudicando l’imputato penalmente responsabile
Il tribunale di Milano, con sentenza, condanna l’imputato al risarcimento dei danni patiti dalla lavoratrice, ma ritiene responsabile, al contempo, la società datrice di lavoro civilmente responsabile, unitamente all’imputato, per i medesimi danni.
La responsabilità del datore di lavoro
L’art. 2049 codice civile afferma la responsabilità del datore di lavoro per il fatto illecito commesso dai propri subalterni nell’esercizio delle loro incombenze laddove non dimostri di aver fatto tutto quanto possibile per impedire l’evento dannoso dall’altro; l’art. 2087 codice civile prevede l’obbligo dell’imprenditore/datore di lavoro di apprestare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti. Ne deriva che, se il datore di lavoro non si accorge delle molestie o se ne accorge ma ignora i fatti, fa finta di non vedere e non agisce per impedirle, esso stesso dicenta complice.
L’art. 40 comma 2 codice penale, inoltre, prevede espressamente che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Nel caso in narrazione, il datore di lavoro, sebbene avesse il preciso obbligo giuridico di impedire la commissione del reato, non ha invece assunto alcuna iniziativa.
Oltre a chiamare la società al pagamento del risarcimento nei confronti della lavoratrice, il tribunale nel caso de quo, ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la valutazione delle responsabilità del datore di lavoro/persona fisica per gli stessi reati già contestati e ritenuti accertati in capo all’imputato.
L’importanza di denunciare
Questo genere di reati provoca, spesso, una paura maggiore che limita la denuncia e inibisce le vittime che non sanno come comportarsi e spesso temono di perdere il lavoro. In questi casi può essere fondamentale la consulenza di un legale. In provincia di Lecce ci sono studi legali specializzati in questo tipo di questioni basta trovare il coraggio di denunciare per se stesse e per chi non ci riesce,