Le fasi evolutive di Montescaglioso (Matera) sono parallele alle trasformazioni storiche ed architettoniche della abbazia di San Michele Arcangelo, adagiata sui resti dell’acropoli italo-greca della città. Questo sito religioso si distingue nel complesso dei rapporti intercorsi in Basilicata tra il monachesimo italo-greco e quello benedettino..
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Volendo risalire alla fondazione del monastero, occorre calarsi nelle vicende dei rapporti tra gli insediamenti rupestri della Murgia, di probabile origine monastica bizantina e il successivo insediamento monastico benedettino. Nel 534 la tradizione locale vuole che la comunità dei monaci italo-greci abbia abbandonato le vecchie usanze, per passare alla Regola benedettina. La prima prova della presenza di questo ordine nel territorio si può far risalire all’anno 893, quando l’abbazia longobarda di San Vincenzo in Volturno è attestata nel possesso della chiesa di San Lorenzo di Murro, che nel 1099 entrerà nel patrimonio dell’abbazia di San Michele in Montescaglioso.
Questa concessione è una fotografi a dell’area di Matera e di quelle circostanti: si tratta di un territorio longobardo che riconosce il vassallaggio verso l’Impero d’Oriente.
Il monastero benedettino di Montescaglioso nasce verso la metà del sec XI intorno ad un piccolo luogo di culto dedicato a San Michele; la prima attestazione, infatti, è fornita da un documento del 1065.
Con la dominazione normanna del territorio e l’infeudamento di Montescaglioso ai Macabeo, la comunità benedettina conosce una lunga fase di espansione: si sviluppa grazie a donazioni, privilegi e benefi ci e in pochi decenni controlla e amministra una vasta superficie che si estende nel Metapontino, tra i fiumi Cavone e Bradano, e nell’Agro di Stigliano e di Gorgoglione.
Il periodo fiorente termina con la seconda metà del secolo XIV, per contenziosi riguardanti le usurpazioni nei feudi e nelle proprietà rurali. Il monastero, nel 1357, finisce per essere governato da abati nominati dalla Santa Sede e dal 1424 viene amministrato in commenda. Il regime commendatario accentua la crisi e impoverisce il monastero, perché le rendite vengono utilizzate a favore della curia romana. Le condizioni dell’abbazia diventano così gravi che, nel 1484, il duca di Andria, Pirro dal Balzo, titolare della contea di Montescaglioso, ottiene da Papa Sisto IV, l’annessione del cenobio alla Congregazione benedettina di Santa Giustina da Padova. Con l’arrivo dei nuovi monaci, l’abbazia sarà ricostruita e ritornerà all’antica potenza.
Sul finire del secolo XVII il luogo, nonostante la vitalità interna alla comunità, vive in conflittualità con l’ambiente locale per la giurisdizione del patrimonio rurale. Le discordie si inaspriscono a tal punto che nel 1784 i monaci decidono di trasferirsi a Lecce, nell’ex collegio dei Gesuiti, insieme agli arredi, la biblioteca e l’archivio. Nel 1806 le leggi di Gioacchino Murat provocano la soppressione degli ordini religiosi, pertanto la comunità benedettina è privata dei beni ed è soppressa. Nel 1818, dopo il ritorno del Borbone a Napoli ed il Concordato con la Santa Sede, l’abbazia è affidata ai francescani di San Lorenzo Maggiore di Napoli; con l’Unità d’Italia San Michele diventa proprietà e sede del comune di Montescaglioso.
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La chiesa, anche dopo la soppressione della comunità, rimane nelle mani dell’autorità ecclesiastica ed è affidata alla Confraternita del Carmine, che ancora ne mantiene la titolarità. L’importanza economica dell’abbazia si evince ancora oggi dalla presenza di casali e chiese nel territorio circostante.
L’evoluzione storica ha portato inevitabilmente a delle trasformazioni architettoniche e a numerosi lavori di restauro. L’abbazia assume l’odierna configurazione dal momento dell’annessione alla Congregazione di Santa Giustina; da una grande chiesa (XI-XIII sec.) a tre navate ed unico chiostro, si arriva ad un edificio con unica navata, affiancato su ogni lato da quattro cappelle. Si ricostruisce la sommità del campanile, si avviano i lavori di rifacimento del chiostro medievale e la realizzazione di quello rinascimentale. Nella ricostruzione del complesso sono impegnate maestranze locali e pugliesi. La gran parte degli affreschi, databili tra il XVI e il XVII secolo, sono attribuiti, infatti, a pittori lucani dell’epoca: Antonio da Abriola e Girolamo Todisco. Il primo ciclo si trova nel corridoio orientale del piano superiore, il secondo negli angoli dei chiostri, nella biblioteca dell’abbazia e nella sala del Capitolo. Nella biblioteca il ciclo affrescato si presta ad interpretazioni diverse, tra cui quella ermetico-alchemica.
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Sono rappresentati i santi Benedetto e Scolastica, fondatori dell’Ordine Benedettino, i dottori della Chiesa, l’Arcangelo Michele, i teologi San Bonaventura da Bagnoregio e San Tommaso d’Aquino, la Vergine Incoronata, le Virtù Cardinali e Teologali, intervallati da otto “emblemi”, che segnano le fasi del percorso alchemico. Negli angoli sono collocati i simboli dell’ordine benedettino cassinese e quello dell’abbazia, la spada che sorregge una bilancia. In posizione privilegiata sono Arpocrate, dio del silenzio, e il sommo filosofo Pitagora, affiancati dai maestri Platone, Aristotele e Diogene.
IL COMPLESSO MONASTICO
La storia e gli eventi testimoniano la straordinaria importanza del complesso monastico; qui le presenze architettoniche sono il frutto della vivacità degli influssi e degli stili, l’arte e l’ingegno costituiscono una rappresentazione delle vicende dell’uomo, due esempi per tutti: l’attività dei monaci miniatori e la necessità di conservare il bene per eccellenza, l’acqua, raccolta in generose cisterne. Così, ogni angolo di questa abbazia sembra scrivere una piccola pagina di storia dell’umanità, ogni scorcio di essa lascia filtrare il sussurro di un’indefinibile aspirazione, quasi un protendere verso il cielo, dove ogni elemento ritrova la sua giusta ricomposizione.
Nella seconda metà del secolo XVIII la chiesa sarà decorata con un ricco apparato di stucchi e gessi di scuola napoletana, verranno rinnovati gli altari delle cappelle laterali e sarà acquistato il nuovo altare maggiore; vengono poi ampliate le cantine e restaurato il colonnato, la foresteria e il noviziato. Nei corridoi del piano superiore il soffitto in legno cinquecentesco viene sostituito dalle attuali volte in mattoncini intonacati. Con l’Unità d’Italia, quando il Comune si trasferisce nell’abbazia, l’edificio viene strutturato per il nuovo uso: il ciclo affrescato della biblioteca scompare sotto la calce, riapparendo dopo il terremoto del 1980. Quando il municipio abbandona l’Abbazia nel 1967, l’edificio diventa oggetto di interventi di restauro non ancora completati.